LECTIO DIVINA SUL VANGELO domenicale - 14
29 gennaio 2017 – 4ª domenica del Tempo Ordinario
Ciclo liturgico: anno A
Rallegratevi, esultate,
perché grande è la vostra ricompensa nel cieli.
Matteo 5,1-12 (Sof 2,3;3,12-13 - Salmo: 145 - 1 Cor 1,26-31)
O Dio, che hai promesso ai poveri e agli umili la gioia del tuo regno, fa’ che la Chiesa non si lasci sedurre dalle potenze del mondo, ma a somiglianza dei piccoli del Vangelo segua con fiducia il suo sposo e Signore, per sperimentare la forza del tuo Spirito.
Spunti per la riflessione
Per essere felici
L’agnello che porta il peccato del mondo, il Figlio di Dio che ci viene incontro, che porta l’annuncio nelle periferie della Storia, là dove nessuno vuole stare, che ci invita ad andare dietro di lui, a pescare tutta l’umanità che abita nei nostri cuori e nei cuori altrui, oggi parla ai nostri cuori, riassume tutta la logica di Dio in un’unica, memorabile pagina.
Una pagina talmente destabilizzante da essere insostenibile, dall’essere sconosciuta alla maggior parte dei cristiani.
Forse perché troppo difficile o, comunque, non applicabile. Forse perché i predicatori stessi l’hanno stravolta, riducendola ad una sorta di illusorio elenco di buoni propositi etici.
Eppure la pagina delle beatitudini è fuoco che divampa, a saperla leggere.
Perché racconta cosa pensa Dio della felicità. E come si fa a raggiungerla.
Perché descrive, più di ogni altra pagina del Vangelo, la profonda identità di Gesù.
Dire che vale la pena leggere con attenzione.
Elogio della sfiga
Forse la ragione per cui questa pagina è così colpevolmente ignorata da noi cristiani è che, ad una prima lettura superficiale, elogia la sfortuna, esalta la sfiga. Gesù definisce beati, cioè felici, coloro che sono poveri, che piangono, che sono perseguitati.
Ma scherziamo? Chi vive nella povertà o nel pianto, chi è perseguitato non è felice. È nella tristezza più cupa. E il rischio, decisamente diffuso, è che, leggendola, molti pensino che il cristianesimo esalti il dolore, ci inviti alla sofferenza, alla sopportazione. Come se Gesù ci chiedesse di piegare la testa, di andare avanti, sopportando ogni nefandezza, quasi che la rassegnazione piacesse a Dio.
Non è così. Dio non ama il dolore, né ci invita alla rassegnazione.
E quando Gesù parla di felicità, usa il verbo futuro. Perché è verso il futuro che dobbiamo guardare per essere felici.
Non ci aspetta una ricompensa per avere sopportato il dolore. Ma vivere in una certa logica, anche se costa dolore, è la direzione giusta per entrare nella felicità di Dio.
Beati
Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sperimentano il proprio limite senza ignorarlo, minimizzarlo, enfatizzarlo. Beati coloro che sanno che le risposte alle tante domande che sorgono dal nostro cuore non sono dentro di noi ma fuori di noi, in Dio. Beati coloro che non vivono nell’apparenza, facendo finta di essere migliori di ciò che sono, ma che hanno il coraggio di accogliere anche le ombre, di sperimentare la povertà interiore, perché quella è l’unica strada per lasciar spazio a Dio.
Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati.
Beati coloro che non si piangono addosso, che non passano il tempo a lamentarsi, che non si sentono perseguitati da Dio o dagli altri, che non vivono passivamente il dolore. Beati coloro che si lasciano consolare, non compatire. Che sanno mettersi in relazione con gli altri per non stare da soli. Che guardano oltre alla sofferenza che sperimentano. Beato chi scopre che la vita è preziosa agli occhi di Dio, che nessun uomo, mai, è solo e abbandonato, che anche i capelli del nostro capo sono contati (Mt 10,30) e le lacrime raccolte (Sal 56,9), perché il Dio di Gesù protegge i passeri che si vendono per due spiccioli (Lc 12,6). La sofferenza, allora, non è la parola definitiva della vita. Di nessuna vita.
Beati i miti, perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che vedono sempre il lato buono delle cose, e usano parole e pensieri di luce, di pace, di mitezza. Senza essere svaporati, senza essere degli illusi, senza essere delle vittime passive. Beati coloro che cercano sempre di cucire, non di strappare, di gettare ponti, non di erigere muri, perché la terra è loro eredità, un terra abitata, non un cimitero deserto.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
Beati quelli che non cedono alle tante ingiustizie che nascono dall’animo umano incline alla tenebra. Beati quelli che non commettono ingiustizia e cercano di essere retti davanti a Dio e agli uomini. Beati quelli che ancora desiderano perché il loro desiderio sarà colmato.
Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
Beati quelli che, come Dio, guardano alla miseria col cuore, che non giudicano sé e gli altri impietosamente, che chiedono responsabilità e coerenza ma che non fanno della giustizia un idolo. Se giudicano gli altri con verità e compassione troveranno verità e compassione per loro stessi.
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
Beati quelli che non vedono il male ovunque, che non usano malizia nei loro giudizi, che non vivono nell’inganno. Per vedere Dio necessitiamo di un cuore trasparente e puro, come il suo. Uno sguardo torbido non vede mai lo sguardo di Dio.
Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati quelli che non cedono all’odio e alla violenza, che costruiscono la pace a partire dal proprio cuore, che non si lasciano divorare dalla rabbia. Sono chiamati e sono figli di Dio anche se appartengono ad altre fedi, ad altre convinzioni, perché solo il vero volto di Dio suscita desideri di pace nel cuore delle persone.
Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi.
Beati quelli che si assumono le proprie responsabilità, che non scaricano sugli altri, che hanno il coraggio di pagare fino in fondo le proprie scelte, e anche i propri errori. Beati i discepoli che non rinnegano la loro fede per paura.
Urca
Ecco, così ha vissuto Gesù, lo sappiamo.
È morto perché ha vissuto fino all’ultimo queste beatitudini.
E ora tocca a noi, se vogliamo. Giorno per giorno, un pezzo di beatitudine alla volta, per cambiare il nostro cuore, per convertire noi stessi e il mondo.
Noi poveri, che non ci fermiamo al pianto, miti, assetati di giustizia, misericordiosi, trasparenti, pacificati, disposti a portare le conseguenze delle nostre scelte.
La sfida è lanciata. O Gesù è un folle senza speranza, o ha ragione.
Allora vale la pena di rischiare.
E di seguirlo.
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L’Autore
Paolo Curtaz
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Esegesi biblica
LE BEATITUDINI (5, 1-12)
Le beatitudini sono il cuore del messaggio di Gesù, per capirle bisogna lasciar parlare il testo. Innanzitutto Gesù sale sulla montagna e pronuncia il discorso circondato dai dodici e dalle folle: si tratta di una folla venuta da ogni dove, persino dalla decapoli e da oltre il Giordano. Il discorso, quindi, non è rivolto solo ai dodici o al popolo giudaico, ma a tutti.
Certo le beatitudini rimandano a Gesù. Ma quale significato egli vi attribuì? Pensiamo di riassumere il suo pensiero in tre affermazioni:
Sta qui il paradosso delle beatitudini: la vita di Cristo dimostra che i poveri sono beati, perché essi sono al centro del regno e perché, contrariamente alle valutazioni comuni, sono essi, i poveri, i crocifissi, che costituiscono la storia della salvezza.
Esaminiamo ore le singole beatitudini.
Beati i poveri. La differenza tra il “povero” di Luca e il “povero nello spirito” di Matteo non cambia nella sostanza. Matteo non intende certamente riferirsi a coloro che, benché ricchi, sono spiritualmente staccati dalle loro ricchezze. Molto probabilmente la frase echeggia Is 61,1 (v. Lc 4,18). Entrambi le beatitudini (di Mt e Lc) designano la classe povera che costituiva la grande maggioranza della popolazione del mondo ellenistico.
Il “povero in spirito” di Matteo pone l’accento più che sulla mancanza letterale di ricchezze, sulla bassa condizione dei poveri: la loro povertà non permetteva l’arroganza tipica delle persone ricche, ma imponeva loro un rispetto servile.
Sono questi “poveri nello spirito” che ora sono “beati”.
Beati gli afflitti. Riecheggia in questa beatitudine la situazione descritta in Is 61,1.
La beatitudine si riferisce a coloro che non hanno alcuna gioia in questo mondo, e in questo senso essa sarebbe molto vicina e simile alla prima e terza beatitudine.
Si intendono qui molto probabilmente coloro che piangono per i mali d’Israele dovuti ai suoi peccati. La loro consolazione consisterà nell’esperienza della salvezza messianica.
Beati i miti. Questi fanno parte della stessa classe dei “poveri in spirito”, che non sono in grado di essere aggressivi. L’ideale della mitezza è descritto in termini concreti in 5, 39-42: “Se uno ti percuote la guancia destra…”. I miti possederanno la terra escatologica d’Israele, recuperata mediante le opere salvifiche di Dio.
La frase riecheggia le promesse della terra fatte ai patriarchi dell’A.T.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia. La “giustizia” di cui bisogna aver fame e sete è un termine assai pregnante. In Mt essa designa la condizione di buoni rapporti con Dio, ottenuti con la sottomissione alla sua volontà. Nel giudaismo farisaico si pensava che questa condizione venisse garantita mediante l’osservanza minuziosa della legge secondo i modelli farisaici. Gesù afferma con insistenza che i suoi discepoli devono sforzarsi di attuare qualcosa di più perfetto: “Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e farisei …” (Mt 5,20).
Beati i misericordiosi. La misericordia è una caratteristica di Dio; Dio è fedele nonostante le infedeltà degli uomini. L’ideale della misericordia o compassione ricorre spesso in tutti i vangeli. La beatitudine è illustrata dalla parabola del servitore spietato (Mt 18, 23-35). Le due opere di misericordia maggiormente sottolineate in Mt sono l’elemosina e il perdono. La ricompensa della misericordia è di ricevere misericordia.
Beati i puri di cuore. La purezza di cuore è contrapposta alla purezza levitica esteriore ottenuta mediante l’abluzione rituale: è questo un punto di numerose diatribe tra Gesù e i farisei. Ciò che si intende per “purezza di cuore” è spiegato in Mt 5,13-20: “Voi siete il sale della terra… La luce del mondo… Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone… La ricompensa della purezza di cuore è di vedere Dio. Ciò non significa ciò che in teologia è chiamato la “visione beatifica”, ma l’ammissione alla presenza di Dio (v. Mt 18,10: “Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio”).
Beati gli operatori di pace. Questa parola ebraica “i pacificatori” significa “coloro che compongono i dissidi”. La riconciliazione è un compito spesse volte raccomandato nei vangeli: Mt 5,23-26 “Se presenti la tua offerta all’altare… và prima a riconciliarti”. La ricompensa è di essere chiamati figli di Dio. È questo un titolo attribuito a Israele nell’A.T.; coloro che compongono dissidi sono israeliti autentici.
Beati i perseguitati per la giustizia. La persecuzione subita per amore della giustizia è la persecuzione che viene accettata allo scopo di mantenere i buoni rapporti con Dio mediante la sottomissione alla sua volontà. In questo ampliamento (5,11-12) della beatitudine Gesù viene identificato con la giustizia. Egli sostituisce la legge quale unico mezzo sicuro per mantenersi in buoni rapporti con Dio. Tale rapporto causerà certamente la persecuzione, ma la ricompensa supererà ogni ricompensa precedente. La Chiesa succede ai profeti che furono perseguitati dal loro stesso popolo.
La persecuzione a cui si allude qui è molto probabile l’offensiva scatenata dai giudei contro la comunità cristiana.
In conclusione è difficile per noi valutare il carattere paradossale delle beatitudini.
Esse iniziano una rivoluzione morale che non ha ancora raggiunto la sua pienezza.
Esse capovolgono tutti i valori convenzionali del mondo giudaico e romano-ellenistico e dichiarano beati coloro che non partecipano di quei valori. Vengono qui ripudiati non soltanto i valori esterni della ricchezza e della condizione sociale ma anche quei valori personali che sono ottenuti e difesi mediante l’auto-affermazione e la lotta.